Lallargamento dellUE fornisce importanti potenzialità e opportunità di carattere politico ed economico. Oltre ad un maggior peso contrattuale in ambito politico non tanto per la forza reale dei nuovi paesi membri, quanto piuttosto per la ricomposizione sul piano continentale della frattura operata nel 1945 -, si assisterà pure al rafforzamento di un mercato che assumerà vieppiù importanza per la crescente richiesta di beni e servizi dei nuovi paesi membri. Ma non è tutto oro quello che luccica e da tempo,soprattutto in paesi come la Germania, questo allargamento ha innescato timori che sono lungi dallessere fugati. Anzitutto, il divario nei redditi pro capite, fra i nuovi paesi membri e gli altri 15 paesi, potrebbe perdurare, inficiando così le prospettive di una ripresa dei consumi. Secondariamente, la struttura economica dei nuovi membri non dispone di un necessario ed adeguato grado di efficienza. Ma soprattutto, il basso costo del lavoro e una pressione fiscale nettamente inferiore alla media degli altri paesi dellUE rischiano di rappresentare una minaccia destabilizzante per alcuni paesi, come la Germania e lAustria, dove la sola ipotesi di delocalizzaione di risorse e aziende ha generato nelle ultime settimane fenomeni importanti. Tutto è partito dal caso Siemens, la cui direzione aveva prospettato di spostare alcune attività (e alcune migliaia di posti di lavoro) in Ungheria. Con un cambio di rotta di 180 gradi rispetto alla politica aziendale fin qui adottata, direzione e sindacati hanno raggiunto un accordo che contempla laumento dellorario di lavoro a 40 ore settimanali, dalle attuali 35 ore, senza compensazione salariale, in cambio del mantenimento dei posti di lavoro in Germania. Infranto il tabù dellaumento dellorario di lavoro senza compensazione, il caso Siemens ha aperto la porta ad altri accordi simili, la cui vera posta in gioco non è tanto la durata dellorario di lavoro in quanto tale, quanto piuttosto il costo del lavoro. Il tutto si inserisce poi nellattuale dibattito sulla produttività dellUE e del relativo divario rispetto a quella registrata negli ultimi anni negli Stati Uniti . Le minacce di alcuni paesi europei di privare di aiuti dellUE le aziende che delocalizzano non possono però essere relativizzate. Vè, infatti da notare che lobiettivo della convergenza posto dalle autorità europee poggia su importanti e cospicui fondi e sovvenzioni, che si vorrebbero legare a precise regole comunitarie. Stando alle proposte formulate in luglio a Bruxelles, la nuova politica europea di coesione per il periodo 2007-2013, ossia il programma di sviluppo, ruota attorno ad un volume di 336,3 miliardi di euro, la maggior parte dei quali 264 miliardi, per la precisione- sarà destinato allobiettivo della convergenza e andranno pertanto in quei paesi che registrano un Pil pro capite inferiore al 75% della media europea, gran parte dei quali situati proprio nella parte orientale dellUE. Il progetto esclude dai fondi strutturali quelle aziende e imprese che spostano le loro attività nei paesi con unimposizione fiscale molto favorevole. |