Ieri Standard & Poor, agenzia di Rating americana, ha pubblicato le proprie previsioni per la crescita del debito pubblico italiano per il 2006, stimato al 5% del prodotto nazionale lordo (i parametri di Maastricht prevedono una procedura sanzionatoria, che di fatto non è mai stata applicata, al superamento del 3%). Ancora più preoccupante il giudizio politico che l'agenzia ha epresso sull'incapacità di entrambe gli schieramenti, centro-destra e centro-sinistra di affrontare seriamente la questione. Nella stessa giornata sono anche stati pubblicati i dati di produzione industriale per il mese di giugno, a meno 3% su base annua rispetto all''analogo periodo dell''anno scorso. Sui giudizi di S&P si è levato il solito coro di critiche incrociate tra destra e sinistra, che non fanno altro che avvalorare il giudizio negativo che la nostra classe politica si sta guadagnando sulla scena internazionale. Come abbiamo già detto in passato, sono tre le misure strutturali che dovrebbero formare la spina dorsale di una riforma seria del sistema economico: a) una revisione radicale del sistema pensionistico; se non viene approvata la procedura di silenzio assenso sulla destinazione del T.F.R a forme di previdenza integrativa, la generazione dei quaranta/cinquant'enni non vedrà probabilmente neanche una lira (pardon un euro) di pensione dal sistema pubblico; b) troncare con la politica di intervento pubblico in aziende decotte; un'Italia che vuole rinnovarsi non ha più bisogno delle attuali Fiat, Alitalia, Rai. Le imprese, pubbliche o private, debbono competere sulla base delle proprie capacità, non essere tenute in vita perchè serbatoi di voti per il sistema politico; c) una riforma strutturale del sistema creditizio; la piccola e media impresa non ha più accesso al credito, che viene invece erogato con liberalità a favore di speculatori il cui unico intento è arricchirsi; se le banche italiane non sono in grado di sostenere l''imprenditoria nel proprio sforzo di rilancio ben vengano gli stranieri a comprare le nostre banche. Occorre che tutti noi cittadini ci battiamo affinchè queste riforme siano accellerate. Non è più possibile pensare in una logica individualistica, se non vogliamo trovarci nel giro di pochi anni (massimo cinque) a subire un arretramento straordinario delle nostre condizioni di vita. Spedite commenti e proposte a alemilesi@libero.it. Alessandro Milesi |