Ieri in borsa sono state punite in particolar modo le popolari, per cui i progetti di fusione avanzati da management spesso più interessato alle proprie poltrone che ai diritti degli azionisti vengono giustamente messi in discussione. Nonostante la riforma dello statuto delle popolari, forse non è completamente chiaro che ancora almeno sino a giugno nelle prinicipali popolari si vota con il meccanismo del voto capitario, ovvero un voto una testa. Con il complesso meccanismo delle deleghe che si innesca in sede di assemblea è facile raccogliere voti dall'interno degli istituti influenzando questa o quella corrente, spesso sindacalizzate o politicizzate. Il risultato è che spesso il management è in grado di indirizzare le decisioni dell'assemblea a prescindere dagli interessi degli azionisti: non a caso la operazione Popolare BPM sembra incagliarsi per il numero di poltrone che chiedono gli esponenti in consiglio di BPM. L'operazione dal punto di vista degli azionisti di BPM non si avrebbe da fare comunque, il Popolare ha tre volte i crediti incagliati e due volte gli sportelli, che come dimostra la recente cessione di Barclays a Mediobanca, bisogna pagare per vendere. La prima cosa che andrebbe fatta per restaurare la fiducia nelle banche, per cui il Rischio è di sistema e non isolato a pochi istituti, sarebbe di rimandare le decisoni di fusione a dopo la effettiva conversione in Spa. Se le fusioni sono urgenti il meccanismo del voto capitario va eliminato prima di portare le decisioni in assemblea. Questo renderebbe evidente quando e in quali casi il management lavora per l'interesse dell'azienda e non della propria poltrona. Per le BCC, per cui verrà presentato il progetto di riforma questo mese, occorre inoltre dimensionare il problema delle obbligazioni subordinate prima di avviare qualsiasi negoziazione. Tra i 20 e i 30 miliardi delle obbligazioni subordinate piazzate sui clienti delle banche sono emesse da questi istituti, con nessun mercato secondario. Oltre agli interessi dei correntisti ci sono anche quelli degli obbligazionisti e non si può fondere in un unico calderone tutte queste istituzioni senza tenerne conto. A meno che collettivamente le BCC facciano la loro bad bank con garanzia dell'intero sistema, che nel suo complesso potrebbe forse essere in grado di erogarla. Da un mese non si parla più di obbligazioni subordinate ma solo di crediti dubbi, ma i temi da affrontare sono anche al passivo non solo all'attivo. Poi va dimensionato il problema dei crediti dubbi, prima delle scadenze imposte della UE. I media quotano i numeri più disparati, per MPS la versione prevalente è che su 50 miliardi di crediti dubbi trenta siano già stati svalutati e che con il 40% di valore a libro si debba ipotizzare una svalutazione complessiva del portafoglio di un ulteriore cinquanta per cento. Allora però i nuovi aumenti di capitale di cui MPS avrebbe bisogno sarebbero di dieci miliardi e non tre come la stampa di settore ha quotato nei giorni scorsi. Va poi affrontato il tema delle possibili fusioni di Veneto e Vicenza in qualcosa di più grande perchè a questo punto per Intesa e Unicredit costa probabilmente meno comprarsele che garantire il collocamento. Nessuno sarà disposto a mettere altri due miliardi e mezzo negli aumenti di capitale, con conseguente carico per i due istituti garanti. Andrebbe poi estesa la dimensione dei contratti di solidarietà complessivamente negoziabili nel corso del 2016, perchè con i progetti di fusione in corso decine di migliaia di posti di lavoro nel bancario dovranno essere eliminati. Le banche non sono in grado di affrontare i costi della mobilità ed il costo sociale va comunque ripartito il più possibile. Meglio ridurre collettivamente gli orari di lavoro che licenziare persone. Tutte queste cose richiedono pero' qualche forma di accordo con la UE perchè il rapporto deficit/Pil dell'Italia è destinato a salire di molto se la bad bank può funzionare senza ribaltarne interamente il costo sui vari portatori di interesse, azionisti, obbligazionisti, correntisti, lavoratori o contribuenti. Se il Governo italiano ottiene flessibilità nei conti, perchè l'Italia è troppo grossa per fallire , allora un meccanismo come quello suggerito da Zingales, una specie di Tarp all'italiana puo' funzonare: richiede però un completo ricambio nel management delle banche, forse troppo da chiedere ad un sistema così intriso di interessi. Soprattutto se questo richiede una revisione dei principi attraverso cui il credito viene erogato, l'80% dei crediti dubbi è oggi concentrato sul 1% dei clienti. Se non si ottiene flessibilità, vi è solo il commissariamento con il ricorso a quel meccanismo di condizionalità, l'OMT, che Draghi aveva inaugurato con il famoso "whatever it takes" e che sperava non sarebbe mai servito. Sino ad ora non sono stati gli attacchi speculativi ma gli esodi di correntisti, azionsiti e obbligazionisti a determinare il crollo verticale delle quotazioni. Ora con il prezzo di titoli come MPS e Carige vicino a i 50 centesimi, non è difficile per operatori aggressivii azzerare le quotazioni e raccogliere i cocci. Occorre agire velocemente. |