Non ci azzardiamo certo a prevedere le mosse delle banche centrali, certo ora piu' centri di potere politico che di governo della politica monetaria. Oggi decisioni sull'immissione di nuova moneta negli Stati Uniti sembrerebbero davvero inopportune per una serie di ragioni: i dati non sono peggiori di quelli di tre mesi fa ed ora siamo molto vicini alle elezioni americane. Una decisione di nuovi acquisti di titoli sul mercato sarebbe pesantemente sgradita ai repubblicani e vedrebbe la Fed tacciata di sostegno palese ai democratici. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene Bernanke, la disoccupazione americana sembra mostrare cause strutturali, forse la "variabile mancante" di cui parlava Greenspan alcuni anni fa, cercando di giustificare il boom economico di allora che pero' non creava posti di lavoro: lo sviluppo tecnologico, che sistematicamente sostituisce macchine all'uomo. Noi riteniamo che l'altra variabile mancante sia lo scollamento sempre piu'evidente tra scuola e mondo del lavoro, non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti. In ogni caso il tasso di disoccupazione sulla popolazione attiva negli Stati uniti e' sceso venerdi' scorso per il peggiore dei motivi: sempre meno gente cerca lavoro e si rassegna. E' quindi abbastanza evidente che misure di carattere monetario hanno perso qualsiasi effetto sull'occupazione. Ne' potrebbero stimolare oltre il mercato immobiliare, dove con tassi di interesse a lunga sotto il due per cento chi si puo' indebitare lo ha gia' fatto. Ma e' probabile che la Fed agisca lo stesso, se nel fine settimana scorso il Tesoro statunitense rende noto di voler metter sul mercato diciotto miliardi di dollari della sua partecipazione in AIG, operatore del settore assicurativo che piu' di qualsiasi altra azienda ha assorbito denaro dei contribuenti statunitensi: se non se la compra la Fed non sappiamo proprio chi altri. Eventuali operazioni di immissione di nuova moneta cercheranno quindi di essere combinate ad interventi sul "fiscal cliff", termine con cui si definisce la situazione per cui in assenza di aggiustamenti sulla politica fiscale, gli Stati Uniti si avviano nel 2013 ad una condizione di insostenibilita' del debito di tipo "europeo". Crediamo quindi che il segmento lungo della curva dei titoli di stato americani, intorno ai dieci anni, torni di nuovo interessante, sia perche' gli obiettivi di tassi a zero per la parte a breve saranno con ogni probabilita' estesi dalla Fed al 2015, sia per la componente dollaro, ora decisamente sottovalutato sull'euro. Nel fine settimana scorso, con le dichiarazioni che arrivano da Monti e Grilli da Villa d'Este, appaiono chiari crediamo i motivi per cui le mosse di Draghi rappresentano non un contributo alla soluzione ma un ostacolo alle riforme: ne' Spagna ne' Italia vorranno ora piu' chiedere interventi del "fondo salvaspread", se questo implica il rispetto di nuove condizioni, che in Italia potrebbero solo dire tagli alla spesa pubblica cui evidentemente l'establishment si oppone con tutte le forze: chi ieri si fosse recato sul lago di Como avrebbe potuto assistere all'inutile parata di auto blu all'uscita del convegno Ambrosetti. |