La citazione di shock petrolifero di solito evoca immediatamente lo spettro degli anni ’70, di economie in stagnazione ed Inflazione sostenuta. Il raddoppio delle quotazioni del greggio tra la fine del 2003 e l’estate del 2005 sembra giustificarlo, anche se ora le stesse sono ripiegate dai livelli massimi. Poche settimane fa, i ministri finanziari del G-8 hanno nuovamente lanciato l’allarme, indicando nei prezzi energetici “elevati ed instabili” il Rischio più grave per l’economia mondiale. Ogni possibile tensione geopolitica si ripercuote sul mercato e fa temere riflessi nefasti su crescita ed Inflazione. Ma finora, secondo il direttore del Fondo monetario, Rodrigo Rato, “il forte incremento dei prezzi dell’oro nero è stato assorbito senza troppe ripercussioni su queste ultime variabili”. Diversi esponenti di spicco della politica monetaria si sono conseguentemente domandati se una tale situazione “morbida” potrebbe persistere a lungo, qualora le quotazioni del greggio rimanessero alte ancora per molto tempo oppure, addirittura, dovessero esplodere. La maggior parte degli osservatori concorda su alcuni dei motivi per cui la situazione si presenta oggi più favorevole rispetto agli anni ’70. Per cominciare, ad opinione di David Walton, membro di un comitato operativo della Banca d’Inghilterra, il raddoppio dei prezzi, anche se comparabile a precedenti casi, ha impiegato molto più tempo a dispiegarsi. Inoltre, almeno finora, il mercato è stato influenzato soprattutto da un forte aumento della domanda, proveniente dalle aree ad alto sviluppo congiunturale, Cina in testa (e ora anche l’India). Il rialzo, come ricorda Walton, non è associato con guerre in Medio Oriente, come lo Yom Kippur nel 1973, quella Iran-Irak nel 1979-80 o l’invasione del Kuwait nel 1990. Proprio la lezione degli anni ’70, poi, ha insegnato alle economie occidentali ad attrezzarsi per periodi di petrolio assai caro. A livello globale, la cosiddetta intensità petrolifera, cioè il quantitativo di greggio necessario per ogni unità di prodotto, secondo l’Fmi, è diminuita del 38% rispetto alla fine degli anni ’70. In questo modo, si è ridotto l’impatto diretto sulla crescita. Infine, sono stati evitati fino a questo momento gli effetti sull’Inflazione grazie alla credibilità della politica creditizia: il mandato antinflazionistico della Banca centrale europea, l’aura di infallibilità della Federal Reserve di Alan Greenspan, l’ “inflation target” della Banca d’Inghilterra e molte altre Banche centrali. Le aspettative d’Inflazione possono essere state influenzate poi anche dalle conseguenze deflazionistiche dell’irruzione sulla scena di prodotti provenienti dalla Cina e da altri esportatori a basso costo. Simulazioni del Fondo monetario indicano che un aumento persistente del 10% nei prezzi petroliferi è associato ad una riduzione della crescita mondiale dello 0.1-0.15%. L’effetto cumulativo sull’attività globale dal 2003 in poi viene stimato dall’Fmi tra l’1 e l’1.5%. Lo stesso Fondo ha ribadito più volte che le previsioni sulla crescita mondiale del 4.3% nel 2006 saranno con ogni probabilità riviste al rialzo. Due elementi potrebbero alterare questo scenario. Il primo, più preoccupante in quanto ha già iniziato a manifestarsi, è che il comparto petrolifero subisca shock dal lato dell’offerta e non più della domanda, e questo influenzi le aspettative d’Inflazione. Il secondo è che l’ascesa dei tassi d’interesse in atto negli Usa ed ora anche in Europa danneggi, combinato con l’incremento delle quotazioni dell’oro nero, la fiducia di consumatori ed investitori. L’impatto allora potrebbe pure moltiplicarsi. fonte a cura Cornèr Banca SA |