Rispettando le aspettative dei mercati e, soprattutto, cedendo a anni di pressioni internazionali, lo scorso 21 luglio la Cina ha deciso di dare una svolta importantissima alla propria politica monetaria, rivalutando la moneta nazionale. Il renminbi (yuan), il cui corso di cambio era fissato a 8,28 Rmb per 1 dollaro, dopo ben undici anni è stato affrancato dalla divisa statunitense e dora in avanti il suo tasso di cambio verrà determinato da un sistema fondato sulla domanda e lofferta del mercato, con riferimento a un paniere di valute. La Banca popolare della Cina, nel dare tale annuncio, non ha specificato quali valute faranno parte del paniere, ma ha confermato che le parità centrali saranno stabilite giornalmente.
Malgrado questa attestazione di buona volontà da parte di Pechino, i mercati non appaiono del tutto soddisfatti. La ragione è semplice: di fatto la moneta cinese è stata rivalutata solo del 2,1% e sebbene il cambio sarà tenuto a un livello ragionevole e bilanciato e si opererà in favore di una stabilità Finanziaria, la manovra non appare ancora sufficiente a ridefinire gli equilibri nei rapporti commerciali con lestero. Infatti, le pressioni provenienti da USA, Giappone ed Europa erano proprio indirizzate a ripristinare una certa equità per quanto attiene alle esportazioni cinesi; Pechino veniva sistematicamente accusata di mantenere un cambio inferiore al valore reale della moneta, così da rendere i propri prodotti e servizi più concorrenziali sui mercati. Da qui, la poderosa crescita economica cinese, ma anche il notevole ampliamento del surplus commerciale, che attualmente si avvicina ai 40 miliardi di dollari, praticamente il doppio rispetto a quello del 2004. Da un punto di vista politico, i governi internazionali hanno commentato favorevolmente quello che, in ogni caso, appare come un gesto nella giusta direzione. Alan Greenspan, il governatore della Federal Reserve, non ha esitato a dire che si tratta di un primo buon passo che, però, dovrà essere seguito da altri interventi per poter adeguare la valuta cinese al valore di mercato, in modo tale da sanare i contrasti commerciali con lestero. Ovviamente, per il momento non si conoscono le intenzioni del governo cinese ed inoltre, secondo alcuni osservatori, non sembra nemmeno chiaro il funzionamento del nuovo sistema monetario. Pechino lha definito un regime di cambio fluttuante e gestito, ma i più critici temono che il termine gestito (managed) possa tradursi in un eccesso di controllo da parte dello Stato. Questo perché il governo non vuole comunque rischiare di compromettere il corso delleconomia interna e, quindi, potrebbe anche essere tentato di arginare rialzi dello yuan minacciosi per lexport.
Il giorno successivo allannuncio della rivalutazione, sono state pubblicate le nuove statistiche congiunturali, che hanno mostrato come la crescita resti su livelli decisamente esuberanti rispetto al 2004: il Pil è balzato al 9,5%, nel secondo trimestre 2005, superando le più ottimistiche previsioni; la produzione industriale a giugno è aumentata del 16,8% e gli investimenti in attività fisse sono schizzati del 25,4%, da gennaio a giugno. Nel contempo, lInflazione resta ampiamente sotto controllo, con un tasso dell1,6%.
Secondo uno studio dellEconomist, queste cifre potrebbero esser state gonfiate artificialmente, mentre, in realtà, leconomia cinese si troverebbe in una fase di rallentamento. Molti economisti sono in effetti convinti che Pechino abbia una tendenza istituzionalizzata a sovrastimare la crescita quando si trova al punto inferiore di un ciclo e a sottostimarla quando si trova allapice. Inoltre, fanno notare che la congiuntura cinese è alimentata principalmente dagli investimenti piuttosto che dai consumi domestici, al contrario di quanto avviene in Occidente. Per tale ragione, appare particolarmente vulnerabile a ogni rallentamento negli investimenti, sia aziendali che pubblici (impianti e infrastrutture). Complessivamente, si ha tuttavia limpressione che la Cina stia amministrando con maestria latterraggio morbido delleconomia verso il quale mirava; questa volta, infatti, le autorità di Pechino sono intervenute tagliando la crescita prima che la sua espansione divenisse incontrollabile, con largo anticipo e maggiore determinazione rispetto a quanto fecero a metà degli anni Novanta. Nel lungo periodo, quindi, non si intravedono gravi rischi per la salute delleconomia cinese. Nel breve, invece, la maggior preoccupazione è che la Cina possa divenire vittima del proprio successo internazionale. Finora il gigante giallo è stato un potente motore per lintera economia mondiale; se dovesse rallentare, le tensioni politiche e commerciali potrebbero inasprirsi.
In conclusione, lentità della rivalutazione dello yuan risulta ancora troppo contenuta per poter consentire un riallineamento della moneta sul mercato internazionale e un conseguente rincaro delle vendite cinesi allestero. Tale rivalutazione, però, appare come un gesto politico destinato a raffreddare le pressioni finora esercitate su Pechino dai governi occidentali, specialmente quello statunitense. Ma se leconomia cinese dovesse rallentare bruscamente e quindi il governo decidesse di intervenire per proteggere lexport, il livello delle tensioni ritornerebbe purtroppo a salire. (a cura di Corner Bank)
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