04-08-2016

Stimoli, dal Monetario al Fiscale

L'ultimo  bollettino economico della BCE mette in risalto come in Italia le riforme non bastino se non si affiancano a lotta alla corruzione e rispetto delle leggi. Da qualche giorno il Giappone, che ha alcune similitudini importanti con l'Italia, un risparmio privato storicamente significativo unito ad una forte corruzione della politica, con una popolazione vecchia sta provando la via degli stimoli fiscali.
Tutti questi anni di droga monetaria hanno fatto salire le borse, tranne la nostra, ma il presunto effetto di ricchezza che i mercati finanziari avrebbero dovuto creare non c'è stato.  In effetti le politiche monetarie hanno comprato tempo ma nello stesso tempo hanno consegnato nelle mani dei pochi che hanno accesso alla liquidità un potere infinito. Come dice Piketty ila differenza tra ricchi e poveri si è ampliata enormemente perchè chi dispone di accesso alla liquidità può ottenere una rendita e quindi imporre condizioni di lavoro più aggressive a coloro che non hanno capitale: tranne poche eccezioni i risultati delle grandi aziende in questo ciclo di borsa sono stati trainati da "recuperi di efficienza" ovvero taglio dei costi prima che da crescita. Quando le aziende dispongono di ampia liquidità è più facile che si ricomprino i propri titoli in borsa piuttosto che investire sul miglioramento delle condizioni di lavoro.

Quindi che piaccia o no politiche monetarie non coordinate con iniziative di politica economica e fiscale possono comprare tempo per un po' ma se si prolungano nel tempo diventano strumenti di sperequazione sociale. E' dunque più facile, come è successo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che funzionino laddove poltica economica e fiscale sono coordinate, non come in ambito euro.
Ora si inizia a parlare di fallimento delle politiche monetarie e della necessità della loro sostituzione con stimoli fiscali: non perchè il mondo stia diventando migliore ma perchè la rendita sul capitale è azzerata: le banche non possono più prendere denaro a zero e metterlo in titoli di stato con tassi decrescenti quindi ora con potenziali perdite in conto capitale se i tassi dovessero salire e gli investitori non si sognano più di prendere liquidità a prestito per metterla sui mercati finanziari; che in diversi casi sono ai loro massimi storici: la liquidità se se ne dispone deve ora avere un rendimento da attività produttive e qui le cose si fanno più dfficili perchè bisogna essere imprenditori non borsini o tesorieri di una banca.
Le banche potrebbero diventare imprenditori finanziando progetti non coperti da garanzie reali, ma non ricordo la ultima volta in cui ho parlato con un funzionario di banca che sappia valutare un progetto industriale: la Comit di Mattioli è un ricordo sepolto. D'altra parte sono le stesse banche ad essere salvate in modo più o meno trasparente: ieri Unicredit ha annunciato la vendita dei suoi sistemi di pagamento a Sia, società controllata da Cdp a un prezzo di 12 volte l'EBITDA: neanche la Ferrari degli anni d'oro avrebbe spuntato tanto, comunque lo si voglia chiamare si tratta di un indebito aiuto di stato. Su aziende così non si può investire: magari i titoli di Unicredit risalgono ma comprarli a 1,8 per provare a venderli a 2,2 è una speculazione, non un investimento. Con i rischi che ne conseguono.
In Italia invece abbiamo la fortuna di avere bravi imprenditori, che forse proprio a causa della incompetenza del settore finanziario, hanno imparato a autofinanziarsi con la crescita interna, idee e tecnologie da primato, processi decisionali brevi, che non piaceranno ai manager internazional ma che se l'imprenditore sa condividere, spesso con i familiari hanno funzionato. Di queste aziende, IMA, Diasorin, Danieli, Moleskine Cucinelli, Brembo, Ferragamo, Biesse abbiamo spesso parlato e con limiti di prezzo sono sempre aziende su cui si può investire. Solo vale la pena di seguire chi lo fa da anni per stabilire ragionevoli livelli di acquisto, che la borsa salga o scenda.
Sul piano fiscale, i governi di stati indebitati come il Giappone o l'Italia non possono fare molto sulla riduzione delle imposte, al di là di misure forse ad effetto mediatico, gli ottanta euro ma che poi si dimostrano partite di giro. Per consentire una riduzione delle aliquote bisogna veramente entrare nei processi di revisione della spesa, e con una  politica di questo genere, ieri la proposta di un deputato di autoridursi gl stipendi ha generato alla Camera un'ondata di insulti e fischi è davvero difficile che accada in Italia. Il Giappone non promette esso stesso nulla di buono.
La riforma costituzionale in italia, se avvallata dal referendum, ha l'effetto principale di accentrare più poteri nelle mani dello stato con una catena decsionale più corta, ovvero una camera: in un paese a basso lvello di corruzione potrebbe funzionare ma qui gli attori sono gli stessi che non si vogliono ridurre gli stipendi, è come mettere una volpe a guardia del pollaio. Sulla lotta all'evasione fiscale c'è poco da fare se la gente percepisce lo stato come gestito da una politica corrotta.
in questo mutamento di fuoco, da poiitica monetaria, che a pioggia beneficiava tutti a poltica fiscale, che è invece rimessa in area euro ai singoli stati le borse vincenti saranno con ogni probabilità quelle dei paesi a basso livello di corruzione: Danimarca fuori dall'euro, Finlandia e Olanda in area euro. Meno forse la Germania che oggi si finanzia a costo zero o negativo ma che in un ambiente di tassi normalizzati vedrebbe ridotto il vantaggio competitivo acquisito nei confronti die paesi mediterranei.

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