L'OCSE pubblica un documento che riporta l'ammontare del portafoglio di "trading" e di quello di investimento contenuto nei bilanci delle banche europee e spiega che, nel valutare la tenuta delle banche europee al possibile Rischio di insolvenza di uno degli stati membri, è stata considerata solo la prima componente, che vale circa un quinto dell'intero portafoglio di titoli di stato europei detenuti dalle banche (in tutto due triliardi di euro). Si è quindi ipotizzato che in base al patto di stabilità siglato dagli stati membri nessuno stato può fallire nei prossimi due anni. Esce in questi giorni un documento di Pimco, il principale gestore obbligazionario al mondo, che, con riferimento alla Grecia, spiega che terminato il programma di salvataggio da 110 miliardi, il Consolidamento di parte del debito della Grecia è inevitabile. Ora quello che sta succedendo in queste settimane è che sia la divisa unica che il maggior premio di rendimento richiesto dal mercato per comprare titoli di stati più indebitati riflettono entrambe questo Rischio di insolvenza, mentre l'andamento in borsa delle banche continua a stupire in positivo. Ma se le banche detengono la larga parte di questo debito, come è possibile riconciliare i due fenomeni? A nostro avviso, ottocento punti base di maggior rendimento di un titolo greco su uno tedesco scontano già il Rischio di parziale Consolidamento (su due anni si prendono 16 punti percentuali in più, una percentuale probabilmente simile alla quota di debito da consolidare), cosi' come un euro ai minimi storici su tutte le divise "solide" (svizzero, australiano, canadese, real, tutte oltre il 30% più forti di un paio di anni fa). Il contrario è vero invece per i titoli bancari |