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25-11-2007
Class action, prevenire è meglio che combattere
I provvedimenti di Azione collettiva (class action), derivano dall'esperienza statunitense e consistono in iniziative intentate da gruppi di portatori di interessi (azionsti, consumatori..) nei confronti delle aziende. L'approvazione di una norma che consenta il medesimo meccanismo di tutela nell'ordinamento italiano è stata posta come pregiudiziale da parte di alcune forze di coalizione all'approvazione della prossima Finanziaria. Alcune considerazioni. Non ha senso vincolare l'approvazione del bilancio programmatico dello stato a tale provvedimento. Non si può ad esempio subordinare l'approvazione di tagli alla spesa pubblica all'introduzione di questa norma, che nulla a ache fare con i conti dello stato. Se la norma deve essere introdotta, inoltre, non si capisce perchè, come notava acutamente Emma Marcegaglia, tale forma di tutela non possa essere fornita al cittadino anche nei confronti dell'amministrazione pubblica (ne sa qualcosa chiunque abbia provato a contestare una contravvenzione). I proponenti ritengono poi che il fatto che i provvedimenti potrebbero essere intentati solo attraverso associazioni riconosciute dal ministero fornisca garanzie sufficienti a che il meccanismo sia efficacie. Se pensiamo a quanto successo nei casi Cirio e Parmalat, dopotutto esiste un ombusdman bancario (ovvero un organismo riconosciuto cui il cliente danneggiato dalla banca si può rivolgere), non sembra si tratti di una conclusione condivisibile. Con i tempi della giustizia, sarebbe poi comunque difficile sia per le aziende difendersi, che per il cittadino essere risarcito. Molti dei problemi che hanno riguardato le società quotate sarebbero invece risolvibili prevenendo, invece che tentando di combattere. Non sarebbe esistito un caso Parmalat se le società di revisione fossero nominate in modo indipendente da un organo di sorveglianza, finanziato collettivamente con i fondi messi a disposizione dalle società sottoposte ad obbligo di revisione. Un altro esempio. Società di gestione italiane che propongono gestioni in fondi hedge investono in fondi che a loro volta acquistano (cercando di influenzare il comportamento dell'azienda, secondo il modello dell"acitve investor") partecipazioni in società quotate controllate da azionisti delle stesse società di gestione (si può trattare di scelte gestionali basate sulla qualità del gestore, ma il potenziale conflitto di interessi è evidente). Il Rischio invece che questo strumento venga utilizzato dagli avvocati per arricchirsi non dovrebbe riguardare gli studi italiani: il nostro ordinamento giudiziario esclude il cosiddetto "patto di quota lite", ovvero la possibilità per l'avvocato di farsi pagare in funzione dell'entità del risarcimento. Ma se tale mercato non fosse redditizio per gli studi più brillanti, allora il cittadino si troverebbe con ogni probabilità difeso da professionisti di minore caratura. |