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24-04-2011

Inflazione, non è con il rialzo dei tassi che si cura

Da alcune settimane i mercati puntano a sfruttare il differente atteggiamento delle principali banche centrali di fronte all’inflazione. I prezzi di materie prime ed energia continuano ad aumentare senza che questo corrisponda ad un incremento della domanda. La scorsa settimana l’Opec, che ha ben chiaro che a 110 dollari il maggior profitto per barile è più che compensato da una minore quantità di barili venduti, ha tagliato la produzione, citando un livello di scorte superiore al normale.

Lo stesso vale per larga parte dei metalli (i magazzini cinesi sono pieni di rame il cui prezzo è tuttavia quadruplicato in due anni) e delle materie prime alimentari: il prezzo del grano è salito molto più che proporzionalmente rispetto alla quantità di persone che “mangiano meglio” nei paesi ad alto sviluppo economico. Se di inflazione si tratta non è, come d’altra parte non è mai stato in alcun fenomeno di iperinflazione, a partire da Weimar per effetto della domanda. Sono le banche centrali, che in un modo o nell’altro “stampano” troppa moneta.

Il nuovo denaro in circolazione, proveniente negli Stati Uniti dal “Quantitative Easing”, l’acquisto di titoli sul mercato da parte della Fed e dalle linee di liquidità a costo zero erogate dall BCE alle banche finiva nella prima parte della crisi sul mercato obbligazionario perché i tassi potevano ancora scendere; da quando i tassi sono scesi al minimo storico questa liquidità finisce in parte in borsa, a sostenere valutazioni spesso improbabili, in parte sui mercati globali delle materie prime. Quello che rimane va ad alimentare inflazione nei paesi emergenti. Come nota con lucidità il premio nobel Stiglitz, le banche centrali agiscono sull’ipotesi che la moneta messa in circolazione vada ad alimentare la domanda dove è generata. In mercati globali finisce invece su quelle piazze dove di domanda ce n’è già, stimolando quindi processi di inflazione. La Fed, o la Bce stampano moneta che finisce direttamente in India o Cina.

Sono quindi fuori luogo le affermazioni di Trichet quando dice che gli aumenti dei tassi voluti dalla BCE sono tesi ad evitare effetti inflattivi di secondo livello, cioè aumenti salariali. Con i livelli di disoccupazione giovanile cui assistiamo in larga parte dei paesi europei, non c’è purtroppo spazio per rivendicazioni salariali.

L’aumento dei tassi può andare bene alla Germania, la quale, se vuole davvero salvare l’Europa (e le proprie banche, piene come sono di titoli di paesi a Rischio) dovrebbe accettare una maggiore inflazione. Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia ed Italia contribuiscono già, con le loro crescite basse o negative, a portare deflazione. Se in un area a moneta comune nessun paese compensa con una maggiore inflazione, i tassi di crescita complessivi sono destinati ad essere inferiori al costo del debito per l'area nel suo complesso, aggravando ulteriormente la situazione del debito pubblico.

La realtà è che ognuno pensa per sè: se ci troviamo di fronte ad un fenomeno globale le banche centrali dovrebbero coordinarsi. Il sospetto che questa settimana la Fed ribadisca una politica del tutto in contrasto con la BCE va immediatamente alla possibilità che la banca centrale statunitense cerchi di svalutare il debito pubblico americano attraverso una politica di dollaro debole. D'altra parte la BCE sembra convinta che l'euro forte contribuisca a diminuire l'inflazione da materie prime: in mercati globali ha invece l'effetto contrario perchè spinge in modo più che proporzionale sul prezzo del petrolio, secondo fenomeni speculativi che non hanno molto senso ma che oramai dovrebbero essere chiari.

Quali sono i fattori che possono portare ad una inversione di tendenza:? Senz’altro non la lungimiranza delle banche centrali, colpevoli nell’ultimo decennio di errori di valutazione madornali. Si tratterà purtroppo ancora una volta di fenomeni traumatici. Due tra le possibilità:

1) fenomeni di tensioni sociali in Medio Oriente. Troppo di rado si ricorda che i disordini partiti in Tunisia e poi rapidamente dilagati sono nati come protesta per il costo del cibo. Il fenomeno si sta allargando alla Siria, ancora più strategica, per le importanti riserve di petrolio, della Libia;

2) aumento dei tassi nei paesi europei a Rischio tali da provocare la necessità di ristrutturare. Venerdì scorso il biennale greco è salito ad un rendimento del 23% ed il decennale irlandese ha superato il 10%. Dei due ci sembra il più imminente

Quando questi fenomeni speculativi eventualmente “scoppiano”, si trovano immediatamente stuoli di commentatori che spiegano, sempre a posteriori, che era evidente che sarebbe successo. Meglio attezzarsi in anticipo.

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