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25-03-2006

Italia, come cambiare

CENTRO, DESTRA E SINISTRA

Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Italia avrebbe potuto trovare nella rivoluzione del sistema partitico susseguente alla scomparsa della DC, un motivo ulteriore per mettere in soffitta certe categorie politiche, che stanno ormai alla realtà odierna come la prima televisione in bianco e nero sta alla TV digitale.
Venuto meno il Rischio che il comunismo si affermasse nel nostro Paese, di fatto le posizioni su cui si arroccava per principio o per necessità una buona parte dei cittadini, si sono sgretolate. Ridotto il peso dei sostenitori della sinistra radicale e parallelamente, sia pure per altre vie, quello della destra fascista, si è potuto attuare il nuovo sistema elettorale maggioritario bipolare senza che fosse messo a Rischio il sistema democratico. Oggi poi le carte sono state ulteriormente rimescolate. Tutto questo è noto.
Tuttavia la scomparsa dei riferimenti ideologici ha privato le due posizioni antagoniste della possibilità di farsi accettare come contenitori onnicomprensivi, capaci di fornire ai problemi politici, economici e sociali risposte sostanzialmente condivisibili anche soltanto dai propri elettori. Liberati dal condizionamento ideologico, è verosimile e anzi probabile che su molte rilevanti questioni la sintonia dei cittadini con uno schieramento piuttosto che un altro dipenda invece dal tema in esame. Non si vede perché tutti coloro che hanno idee liberiste in tema di economia debbano concordare fra loro anche in materia di applicazione della giustizia o di diritto di famiglia o di politica estera. Per altro verso, non si vede perché non sia concesso far valere il proprio apprezzamento per la posizione sostenuta su una certa materia da un partito, di cui si respingono altri convincimenti. Non è un caso che questo stesso dissidio si manifesti in modo palese all’interno delle coalizioni messe in atto per realizzare i due poli. Come da più parti rilevato, è frequente che su certe materie vi siano impostazioni più simili tra i due poli che all’interno di ciascuno di essi. Oltre tutto il radicamento del problema è ancora più profondo: va oltre la sovrastruttura dei poli, perchè è verosimile che pochi elettori si sentano perfettamente allineati con tutte le posizioni sostenute anche da un singolo partito (e addirittura con quelle del singolo deputato o senatore eletto). Si dirà che questo è un problema della democrazia rappresentativa. E’ vero; ma se l’incapacità / impossibilità del (polo) rappresentante di rappresentare il rappresentato supera un certo limite, è giusto chiedersi se non sia possibile ricercare dei meccanismi di rappresentatività alternativi. Rispetto ai numerosi suggerimenti, provenienti da autorevoli fonti, per modificare il meccanismo di voto, il cambiamento operato nei giorni passati rappresenta un’ulteriore variante sul tema. Tot capita tot sententiae.
Forse allora occorre guardare il problema in una diversa prospettiva: il vero tema non è come si vota, ma che cosa si vota.
E allora perché non identificare delle macro-tematiche (ad esempio, valutazione e allocazione delle risorse finanziarie, gestione delle regole di convivenza e protezione del cittadino, promozione culturale della popolazione, gestione dei rapporti internazionali) e dare poi con il voto dei mandati separati per ciascuna di esse. In questo modo sarebbe possibile per lo stesso cittadino votare a favore del partito A per la macro-tematica 1, del partito B per la 2 e così via. Si potrebbero attuare quindi delle alleanze a geometria variabile: i vari partiti farebbero parte di raggruppamenti diversi sulla base di programmi concreti e potrebbero conseguentemente abbandonare colorazioni ideologiche ormai superate. Per avere voce in capitolo su una certa materia, un partito dovrebbe essere in grado di farsi riconoscere dai propri elettori la primogenitura su un programma oppure la validità delle varianti introdotte o la superiore capacità realizzativa. La diversificazione delle scelte è all’ordine del giorno nella nostra vita di tutti i giorni quando scegliamo capi di abbigliamento in negozi diversi, con quali alimenti comporre la nostra dieta, quali programmi guardare in TV. Eppure fino ad oggi per la cosa più importante, da cui dipende il nostro benessere futuro, non lo abbiamo fatto: è come se ci fossimo obbligati a comprare scarpe, vestiti, accessori nello stesso negozio o a vedere i film soltanto sul canale che fa un buon telegiornale o se ci impedissimo di acquistare vino fuori dal supermarket. Perché?
Anche se il cammino per un’innovazione di questo genere è irta di difficoltà, cambiare si può. Quando, come noi, si è arrivati all’ingovernabilità, si deve.

Di Guido Costa


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