Qualche giorno fa uno dei tanti commentatori economici diceva che la eventuale rivalutazione del cambio dello yuan porterebbe a scarse conseguenze in termini di contenimento del deficit commerciale degli Stati Uniti, dato che il costo del lavoro cinese è circa un ventesimo di quello americano. Può essere vero, ma tale ragionamento si applica bene solo alle produzioni meno nobili, quelle ad alto contenuto di manodopera non qualificata. Ci dimentichiamo che oramai i cinesi esportano anche nella tecnologia e spesso assemblano semilavorati che provengono dal Giappone. Non a caso il Giappone sta riuscendo a sostenere il periodo più prolungato di espansione economica dal dopoguerra proprio perchè la Cina ha quasi sorpassato gli Stati Uniti come primo partner commerciale. Quindi una forte rivalutazione dello yuan e di conseguenza anche dello yen, porterebbe si ad un riequilibrio nei saldi delle partite correnti. Lo stesso vale nei confronti dell'euro, con gran parte degli esportatori europei dell'unico settore, quello dei prodotti personali e accessori di alta qualità (moda, gioielleria, cosmetica) che non sembra clonabile dalla concorrenza cinese, soffre pesantemente le conseguenze di un tasso di cambio dell'euro così forte (Hermes, un nostro consiglio di qualche giorno fa, perde il 25% dall'inizio dell'anno). Senza un'operazione congiunta delle banche centrali e del Fmi che metta fine a questa situazione i mercati continueranno a comportarsi come se questi organismi non esistessero, con conseguenze prima o poi devastanti.
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